I miti gli eroi e le leggende del passato
La favola di Filemone e Bauci
Tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, Libro Ottavo, la favola di Filemone e Bauci è il racconto dell'Amore, quello con la A maiscula. Eletto come simbolo della fedeltà conuigale, è un racconto che mi è particolarmente caro, per due motivi: il primo perchè è stato scritto da Ovidio, poeta per il quale ho nutrito un autentica passione maturata nel corso degli anni, il secondo perchè questa storia mi riporta indietro negli anni, esattamente ai primi anni delle scuole elementari, ai primi racconti che comparivano sui testi scolastici e che tanto hanno contribuito ad avvicinarmi al meraviglioso mondo delle belle lettere.
E' la semplice storia di una coppia di anziani coniugi Frigi. Giunti alla vecchiaia attendevano sulla soglia di casa il tramonto del sole che ben presto si sarebbe anche trasformato nel tramonto della loro vita. Vivevano in una povertà serena e rassegnata, godendo della reciproca compagnia e della compagnia di una grossa oca che avevano allevato, la loro unica ricchezza. Accade che Zeus desideroso di esperienze terrene e in compagnia di suo figlio Ermes, si recò in visita sulla terra. Travestiti da comuni mortali, giunsero in una città della Frigia. A causa dell'aspetto miserrimo in cui si presentarono, al momento di chiedere ospitalità ai ricchi cittadini trovarono sempre gli usci chiusi, così come chiuso alla pietà era il cuore di questa gente. Dopo aver bussato invano a tutte le porte della città, videro in lontananza una miserevole casupola fatta di canne e con il tetto ricoperto di paglia. Sconsolati fecero un ultimo tentativo e finalmente trovarono l'uscio aperto e il cuore spalancato alla carità.
...Al fine ad una picciola capanna
L'ascoso Re del ciel co'l figlio arriva,
La qual di paglia, e di palustre canna
E da lati, e di sopra si copriva.
Quivi scoprendo il duol, che 'l core affanna
La vera carità ritrovar viva,
Fur da Fileno, e Baucide raccolti,
Ch'eran consorti già molti anni, e molti.
La misera capanna è la dimora di Filemone e Bauci, sposati in età giovanissima, vivono ancora insieme continuando ad amarsi.
...Da lor la povertà, ch'ogn'uno abhorre,
Con lieto, e santo cor sofferta fue,
Di quel, che manca l'un, l'altro soccorre,
E giova à due con le fatiche sue.
Servi, e Signor cercar lì non occorre,
Tutta la casa lor non son, che due.
Quel, che comincia l'un, l'altro al fin manda,
E da due s'obedisce, e si comanda.
Non hanno nulla, nessuna ricchezza tranne l'oca, che essi accudiscono come se fosse una loro figliola, ma a ben guardare sono ricchissimi, di una ricchezza fatta non di palazzi o tesori, ma l'autentica ricchezza che deriva dalla comunione dei loro cuori e dei loro intenti, sono ricchi dentro, è l'amore che li sostiene, li conforta facendo di loro un corpo e un'anima sola.
In quella povera casa, gli Dei hanno trovato finalmente un rifugio. Cortese il vecchio Filemone li accoglie, per farli riposare dalle fatiche del viaggio, sollecito porta due sgangheratissimi sgabelli, traballanti e semidivorati dai tarli che la buona Bauci ricopre premurosamente con due vecchie e logore pelli.
Accende il fuoco, soffiando con il poco fiato che ha per ravvivare le ceneri e presto si sprigionano le fiamme che vanno a scaldare il paiolo di rame appeso alla catena del focolare che ben presto sarà riempito del cavolo che Filemone è andato a raccogliere nell'orticello insieme al tenero radicchio che servirà per l'insalata.
Appesa ad una catena del soffitto pende una spalla di maiale affumicata, Filemone ne stacca un pezzo lo ripulisce ben bene prima di offrirlo agli ospiti insieme con il formaggio alle olive secche e a tutto quello che la povera dispensa può offrire.
Bauci dopo aver scaldato l'acqua, la porta agli ospiti per permettere loro di lavarsi e rimuovere dal corpo e dai piedi la polvere del viaggio.
Allestisce appositamente per gli ospiti un giaciglio affinché possano mangiare comodamente sdraiati, sarà anche un misero giaciglio, ma le lenzuola di rozza tela sono fresche di bucato.
Viene servita la rustica cena, innaffiata da una piccola quantità di vino che i due vecchi avevano offerto ai due dei. Ma prodigio dei prodigi, nonostante i bicchieri vengano svuotati più e più volte, il livello di liquido nella brocca non scende mai.
...Ma sopra ogni altro frutto più gradito
Fu il volto allegro, e 'l non bugiardo amore.
E benche fosse povero il convito,
Non fu la volontà povera, e 'l core.
Ma quel, che la consorte co'l marito
Empiè di maraviglia, e di stupore,
Fù il vin, ch'à ritornar più non vi s'hebbe,
E più che se ne bevve, più ne crebbe...
Rendendosi conto di trovarsi di fronte a Dei, provano vergogna del misero desco preparato per gli ospiti e allora decidono di sacrificare quanto avevano di più prezioso l'oca. Con un coltello Filemone si avvicina all'oca, ma questa svolazza di qua e di la poco propensa a trasformarsi nella cena della serata, mentre il povero Filemone rallentato dal peso degli anni, ansimante rincorre l'oca che trova rifugio nel grembo di Zeus. Giove commosso dal gesto del vecchio Filomene, gli dice di fermarsi, il sacrificio dell'oca non sarà necessario. Riacquistato insieme al figlio, lo splendore della divinità, chiede ai due coniugi di recarsi in cima al monte. La città, sarà presto sommersa dalle acque, è la punizione divina riservata agli empi abitanti della città.
I due vecchietti appoggiandosi al bastone e sostenendosi l'uno con l'altra obbediscono, a fatica raggiungono la cima del monte. Uno sguardo rivolto all'indietro e lentamente la città che scompare inghiottita dalle acque. Della ricca e inospitale cittadina, resta solo la loro misera capanna. Nella città sommersa, è emerso un piccolo isolotto con al centro la loro casa che si sta trasformando in tempio, dove c'erano le canne ora si innalzano alte colonne marmoree, il tetto di paglia è rilucente come l'oro.
...In mezzo al lago un'isoletta sorge,
Che la debil capanna alta sostiene,
E mentre questa, e quel l'occhio vi porge,
Vede, ch' in breve un' altra forma ottiene.
Farsi le forche sue colonne scorge
D'elettissimo marmo, e 'l tetto viene
Cupola di si grande, e bel lavoro,
Che par da lungi una montagna d'oro.
I due vecchi tutti tremanti di fronte al prodigio cadono in ginocchio chiedendo perdono.
Ma Giove, prima di tornare all'Olimpo, desidera esprimere la sua gratitudine ai due vecchietti, vuole ringraziarli esaudendo un desiderio.
...Anime grate al ciel, se il nostro sdegno
Sommerse have à ragion l'empia cittate,
Voi, c'havete lo cor pietoso, e degno,
Che tutto è carità, tutta bontate;
Vogliam pria, che torniamo al santo regno,
Rimunerar di tanta alta pietate:
Però il vostro disio fatene aperto
Sicuri d'ottener l'amato merto.
I due vecchi ringraziano ed esprimono ben due desideri, il primo è quello di poter dedicare quanto resta della loro vita al culto della divinità come sacerdoti e custodi del tempio. L'altro desiderio è quello di poter chiudere gli occhi nello stesso momento, in modo da non vedere la morte del compagno e della compagna di tutta una vita
...Non far, ch'io veggia mai la pira accesa
De la mia dilettissima consorte.
Non soffrir, ch'ella à la mia tomba intesa
Pianga la mia prima venuta morte.
Poi che la lor preghiera hebbero intesa
Gli Dei, tornaro à la celeste corte,
Havendo fatto al lor prego devoto
Gratia, e favor de l'uno, e l'altro voto.
Furono esauditi e vissero insieme ancora a lungo, rendendo grazie agli Dei, finché giunse il momento del distacco terreno; sul finire del giorno mentre erano sulla porta del tempio Bauci vide i bianchi capelli di Filemone trasformarsi in fronde e Filemone vide Bauci mettere radici.
...Stando ambo innanzi à le gran porte à piede
De i gradi, ove stà un pian fra 'l tempio, e l'onde,
La donna far del suo marito vede
I canuti capei silvestra fronde,
E mentre il guarda, e la cagion ne chiede,
L'arbor ved'ei, che la sua donna asconde.
E più, ch'un mira, e attende il fin, che n'esce,
Più vede che la selva abonda, e cresce.
Vuol tosto questa, e quel mover le piante
Per far l'officio altrui, che si conviene,
E trova mentre pensa andare avante,
Che l'ascosa radice il piè ritiene.
Accorti del lor fin con voci sante
Rendon gratie à le parti alte, e serene.
L'un dice à l'altro, Vale, e non s'arresta
Mentre il comporta lor la nova vesta.
Il buon Filemone fu infatti trasformato in quercia e la mite Bauci in una florida pianta di tiglio.
...Il Frigio habitator tal maraviglia
Racconta anchor (s'un và da quelle bande)
Che fu la donna pia conversa in Tiglia,
E Filemon ne l'arbor de le ghiande.
Et io, che già v'andai, con queste ciglia
Veduti hò i sacri voti, e le ghirlande,
Che 'l fido peregrin portar si sforza
À gli Dei, che stan chiusi in quella scorza.